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    Marku


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    Messaggio  Marku Ven Giu 05, 2009 11:27 am

    Tiananmen venti anni dopo.
    L’anniversario che Pechino
    vuole cancellare

    di Angela Pascucci

    Era il fatidico 1989, venti anni fa. Nella notte tra il 3 e il 4 di giugno i carri armati dell’Esercito di liberazione del popolo cominciarono a marciare verso il cuore di Pechino che da settimane era stato occupato da studenti e lavoratori. L’ordine era di riprendere a tutti i costi piazza Tiananmen e così fu. All’alba la piazza era svuotata ma lo scontro continuò, cruento, nelle strade adiacenti e nel resto della città. Milioni di abitanti di Pechino si erano posti a difesa dei manifestanti, da quando il 20 maggio il governo aveva proclamato la legge marziale, e continuarono a combattere per giorni, anche in altre grandi città cinesi, come Shanghai, quando videro i militari sparare sulla folla. Il bilancio di quella repressione ancora oggi non si sa. All’inizio il governo cinese parlò di 200 morti, «equamente» divisi fra militari e civili. Ma i parenti delle vittime parlano di oltre mille morti civili. Anche la repressione fu feroce, e ancora vi sono nelle carceri cinesi prigionieri accusati di quei fatti.
    A distanza di vent’anni, parlare di Tiananmen è tabù in Cina. Il partito/stato mantiene ferma la sua condanna su quel movimento, accusato di essere «contro rivoluzionario» e di voler sovvertire lo stato comunista. I manifestanti chiedevano invece al governo un dialogo sulle riforme necessarie a realizzare la democrazia e la libertà che dopo dieci anni di «politica di apertura» ancora non si profilavano all’orizzonte, mentre gli errori di quella politica avevano pesantemente penalizzato la maggioranza dei cinesi. Il partito/stato si era diviso sul dialogo con gli studenti e l’ala dura aveva prevalso, emarginando prima e defenestrando poi il segretario del Pcc Zhao Ziyang, contrario alla repressione.
    La questione delle riforme resta aperta ancora oggi. La Cina è diventata una potenza in ascesa sulla scena internazionale, la sua economia è stata solo rallentata dalla crisi globale. Il ministro del Tesoro Usa Timothy Geithner era oggi a Pechino per la sua prima visita ufficiale in Cina e ha assicurato i grandi creditori cinesi che i loro soldi investiti in dollari americani sono sicuri. E’ stata annunciata la ripresa del dialogo strategico Cina-Usa. Una bella vittoria, a due giorni dal sensibile anniversario. E allora perché il governo cinese ha paura non solo di riaprire quel dossier ma persino che i cinesi ne parlino o cerchino di informarsi?
    Gli unici a voler ricordare, e che sono ancora liberi di farlo, sono i cittadini di Hong Kong. Alcune decine di studenti universitari di Hong Kong hanno iniziato ieri uno sciopero della fame per ricordare il massacro del 1989. A Pechino invece le autorità hanno stretto ulteriormente i controlli sui dissidenti e sono intervenute pesantemente limitando la circolazione delle informazioni su Internet. E’ stato bloccato persino il popolare servizio di comunicazione Twitter.
    La fondatrice delle Madri di piazza Tiananmen, Ding Zilin, ha affermato di essere stata invitata a lasciare Pechino per qualche giorni ma ha rifiutato. Ding, 72 anni, che perse a Tiananmen un figlio di 17 anni, ha detto anche di essere costantemente seguita da agenti in borghese, come altre donne che fanno parte del gruppo nato per chiedere che si dica «la verità» su quei fatti, chiarendo quante sono state le vittime e punendo i colpevoli.
    Il dissidente Wu Gaoxing, imprigionato per due anni dopo l’89, è stato invitato a non procedere con la pubblicazione di una lettera al presidente Hu Jintao, preparata con altri ex detenuti politici, nella quale si chiede un indennizzo per tutti coloro «che hanno subito la repressione» dopo l’intervento militare.

    Il Manifesto 4/6/2009

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