Da morti celebrati come eroi. Ma i nostri soldati, da vivi, sono spesso "precari"
di Bianca Di Giovannitutti gli articoli dell'autore
Doveva essere un esercito di «professionals», sta diventando una guarnigione di ragazzi senza speranza. Eroi da morti, precari da vivi. Ogni anno circa 45mila giovani tra i 18 e i 25 anni tentano di entrare nell’esercito almeno per un anno. È il primo passo per una carriera in divisa. L’85% di loro proviene dalla Regioni del sud: campania, Calabria, Puglia, Sicilia, Sardegna. Molti entrano nei ranghi, ma dopo più contratti a termine sono messi in congedo: non c’è posto.
Nel 2007 la Difesa ne ha mandati a casa 500: sono idonei ad entrare nella polizia, ma il posto non c’è per via del blocco del turn-over. Per loro la Difesa ha allestito dei percorsi di formazione, corsi di aggiornamento, riqualificazione. Ma i risultati non ci sono. Si è tentata anche la strada dell’incrocio delle domande con il mondo del lavoro. l’Azienda di elicotteri Agusta, sollecitata dal ministero, aveva offerto 109 posti. Ma l’operazione ricollocazione non è riuscita. Il fatto è che sono tutti giovani del sud, che a nord non hanno né casa, né famiglia. Da soli non ce la fanno con 800 euro al mese. Così, nulla di fatto.
Sulle oltre 47mila domande presentate due anni fa per un contratto annuale, solo un terzo ce l’ha fatta. E solo un settimo di quelli che volevano proseguire per altri quattro anni - dopo la prima ferma annuale - è riuscito a farlo: poco più di 4mila persone su quasi 28mila domande. Cosa fanno gli altri 23mila? Cercano di restare un altro anno, per ritentare il contratto lungo l’anno successivo. Ma il processo di arruolamento inaugurato con la fine della leva obbligatoria lascia a casa gran parte degli aspiranti soldati, e ne inserisce altrettanti in un meccanismo infernale di «rafferme» (cioè nuovi contrattini a termine), in vista di un’assunzione che rischia di non arrivare mai.
La manovra triennale varata l’anno scorso, infatti, taglia del 40% le risorse per il reclutamento a partire dal 2010: dei circa 700 milioni necessari 304 vengono sottratti. Con questi numeri le stime sul futuro sono disarmanti. I 78mila volontari di truppa, previsti dal modello professionale, si ridurrebbero a 45mila. Le speranze di chi vuole entrare si riducono sensibilmente: tanto che anche le domande sono previste in calo.
Nella stessa situazione di precarietà si trovano molte donne. Stando agli ultimi dati forniti dal ministero, tra i volontari a termine dell'esercito c’erano circa 4mila donne nel 2007, quelle della marina non superavano le 600 unità, mentre solo un’ottantina erano in aeronautica. Chi entra ottiene un posto di lavoro spesso sottopagato (45 euro al giorno in Italia) e poco tutelato. Le malattie, per esempio, non sono coperte. In missione di guerra le cifre cambiano: si arriva a una diaria di 150 dollari. Una boccata d’ossigeno, certo. ma anche un rischio economico. Capita spesso, infatti, che con quella una tantum legata alla missione si sfori il tetto consentito per ottenere un alloggio della Difesa, cioè 39mila euro lordi annui.
Perdere la casa vuol dire molto. Soprattutto perché le caserme sono quasi tutte dislocate nel centro-nord, cioè in zone dai prezzi immobiliari molto alti. le infrastrutture militari italiane, infatti, seguono ancora una geografia legata all’epoca dei due blocchi. Insomma, è una dislocazione da guerra fredda, che prevedeva la costruzione della cosiddetta «soglia di Gorizia». Oggi non è più così, ma le strutture sono rimaste dove erano. Ai passaggi della storia, che hanno abbattuto la cortina di ferro, si è aggiunta l’abolizione della leva obbligatoria. Il risultato è che oggi i giovani militari sono quasi tutti meridionali, costretti a trasferirsi al centro-nord per nessuna ragione plausibile. Truppe costrette spesso al pendolarismo, sradicate dalle famiglie e dalle zone di provenienza. precari e senza cuscinetti, quando il contratto finisce.
E se si muore, come è accaduto a Kabul? per la famiglia c’è comunque una polizza vita finanziata dalla Difesa, che concede un risarcimento di oltre 400mila euro. In questo caso la copertura è più alta del lavoro civile, dove le morti sul lavoro sono risarcite con cifre molto più basse.
22 settembre 2009