La bandiera dei sardi non si trova ad Arcore! Riflessione di Gigi Sanna,autore del libro "sardoa grammata!
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Domenica 08 Febbraio 2009 06:26
di Gigi Sanna
Amici sardisti (e non): tranquilli. Calmo Sollai e anche tu tranquillo Efisio, anche se hai rischiato il linciaggio. Non per Berlusconi certo (che può essere sostituito da Soru o da quant’altri che i sardisti detestano) ma
perché i simboli non si trattano a pesci in faccia. Calma perché la bandiera ad Arcore proprio non c’è e i Sardi se la sono cavata per un pelo. La storia documentaria, quella che prima era preistoria e si vorrebbe ancora
Alberello di Yachu di Aidomaggiore
tale da qualcuno, ci dice infatti che i Sardi ‘padri’ hanno avuto ben altra bandiera. Un albero con chioma, fusto e radici ben in vista. Quello dell’IRS, per intenderci.
Attenzione. Non dovete pensare che mi sia messo a fare propaganda (e di quella subdola per giunta), per Sale e per il suo movimento. Faccio solo umilmente da servitore della verità, di quella che man mano, giorno dopo giorno, sta faticosamente venendo alla luce. Una verità ‘sulla’ e ‘della’ Sardegna che è, in quanto tale, patrimonio di tutti. E’ inutile dire che avrei desiderato parlarne con più calma e con più spazio di questo argomento, ovvero nelle sedi più opportune, riguardando esso i miei studi sulla scrittura nuragica e chi di quella scrittura era particolare oggetto di attenzione.
Ma mi rendo conto che il neutro impegno scientifico (ammesso pure che sia ‘neutro’) non può restare tale, aristocraticamente distaccato, allorquando la scienza e la conoscenza possono venire incontro, in qualche modo, alla politica, soprattutto nel momento in cui questa s’ingolfa e commette gli errori madornali che oggi commette. Ed ecco il motivo dell’intervento. Un militante dell’IRS, quando venne scoperta la ormai nota iscrizione di Perdu Pes di Paulilatino, ebbe a dire così, grosso modo, in un forum: ‘abbaida in s’iscrittura sa matighedda. Paret sa nostra de s’IRS!’.
‘Nono, fizu meu, non ‘paret’: ‘est’. E tue tenes ogos de pitzinneddu appena naschidu e bies su mundu cun ispantu’.
Sa ‘matighedda’, lo sanno bene gli orientalisti e i biblisti di tutto il mondo, è l’albero della vita e in particolare
Alberello sul masso di Pedru Pes
della divinità Yhwh che in Sardegna era pronunciata Yachu; una divinità, come ho spiegato tante volte, analoga ma non uguale a quella del Vecchio Testamento. E neanche ‘orientale’ ma frutto di una civiltà multirazziale e plurilingue affermatasi in Sardegna nel corso di molti secoli del Secondo Millennio a.C. Indoeuropea soprattutto, ma con fortissimi apporti di genti semitiche della Siria, del Libano e della Palestina di quei tempi. Quest’alberello i militanti dell’Irs, con notevole intuito, l’anno fatto proprio mutuandolo dall’iconografia medioevale in quanto si rendevano conto che quel simbolo, divenuto forte e carico di sentimenti eroici con l’indipendentismo antiaragonese di Mariano, di Ugone e di Eleonora (ma anche di Leonardo Cubello) di Arborea, poteva dare profondo significato combattivo ad un movimento, radicale e senza compromessi, contro ogni ‘invasore’, con armi o senza armi (apparenti).
Qualcuno di loro ha anche intuito che il vessillo arborense non andasse disgiunto dalla voce o dal grido della battaglia e hanno più volte ricordato lo ‘ Eli(s) Eli(s) Arbare -e degli storici delle battaglie sarde medioevali per l’indipendenza. Naturalmente più in là nel tempo i seguaci dell’indipendentismo radicale sardo non potevano
Scritta protocananea nel nuraghe Aiga
spingersi. Oggi però la suddetta documentazione nuragica ( v. foto dove metto accanto a quella di Perdu Pes di Paulilatino, per comodità e brevità, solo quelle di Aiga di Abbasanta e di Aidomaggiore, quest’ultima inedita), consente di capire che la voce medioevale ‘ARBARE-E’ è antichissima e si riferisce (con buona pace del Wagner che parlerebbe certamente di voce latino-romana) all’iconografia e all’appellativo naturalistico sostitutivo della stessa Divinità.
Tradotto volgarmente l’esito sarebbe ‘Albero Lui’, ma la lingua antica, come tante lingue antiche, soprattutto quelle semitiche, era carica di tale ricchezza concettuale che noi dovremmo esprimerla (se anche riuscissimo ad esprimerla), con pagine e pagine, di interpretazione e non di ‘traduzione’. Si pensi solo al finale ‘ē’ (derivato da hē) che è segno indicativo, cioè segno pregnante per segnalare la potenza, la maestà, l’unicità, la gloria di colui che l’’albero’ intende rappresentare in tutta la sua complessa ed altissima simbologia. Il segno-simbolo medievale divenuto in qualche modo ‘laico’ (da strettamente religioso quale era in origine) nelle bandiere dei Giudici, restava però ancora istintivamente religioso nelle schiere dei combattenti sardi che invocavano ancora, indirettamente, con il riferimento diretto alla Istituzione giudicale e al Luogo (Arborea), il nome del Dio ( Elì o Yahu); quello che in battaglia avrebbe dovuto difenderli, proteggerli e farli diventare vincitori.
La ‘laicità’ del simbolo giudicale attualmente l’hanno ancora di più i combattenti dell’IRS perché il riferimento è del tutto militare e guerresco e non religioso. E’ quasi superfluo, credo, il far notare, che oggi i documenti paleosardi ci costringono, in qualche modo, data l’enorme significanza loro in termini di nazione e nazionalità specifica, data la storia sarda che è ‘quella e non altra’ (e conseguentemente l’imporsi di un sardismo fortemente critico, non legato ai miti ma ‘cosciente di sé’), a far propri nello stesso tempo sia la sacralità antica (nuragica) del simbolo sia la sua laicità, sviluppatasi questa a partire dal Medio Evo.
Come si vede, dunque, un simbolo molto più carico di senso di quello che si potesse immaginare e quindi un’insegna o una bandiera molto più ricca di significato di quella dei Mori (per di più di origine catalana, come sembrerebbe acclarato) bendati o non bendati. Si badi, a scanso di equivoci, che il sottoscritto, indipendentista reduce del ’79 (anno del Congresso di Portotorres, per chi non lo sapesse), quando vede la bandiera dei Quattro Mori ha sempre il focherello sotto la pelle; focherello che cresce e che diventa viva fiamma persino quando qualche stendardo ‘regionale’ (e non indipendentista) sventola sulle curve del campo di una Torino (non si dimentichino i Piemontesi) umiliata dal Cagliari.
E si sappia ancora che quella bandiera, per mia iniziativa, è stata messa, con tutta la sua enorme energia allusiva, qualche settimana fa, nella bara di uno dei figli arborensi più illustri ed amanti della sua patria, ovvero il pittore e medioevalista Giorgio Farris. Ma la storia è storia (e ne vedremo ancora dell’altra!) e non possiamo far finta di niente, se davvero teniamo al ‘sardismo critico’, e dire, qualunquisticamente, che una bandiera vale l’altra. A ben vedere dunque, gli enigmatici mori non rappresentano così efficacemente la nostra storia, mentre l’albero sì, anche perché ha più di tremila anni di forza simbolica. Che fare allora?
Alcuni sardisti quella bandiera ‘ arbòrea’ ce l’hanno e se la terranno ben stretta, anche perché l’altra evoca, purtroppo (e non solo per loro), illusioni e fallimenti autonomistici. Altri sardisti prima di obliterare i Mori, quelli tragicamente azzurri di Berlusconi o quelli grottescamente rossi di Soru, si faranno prima scorticare. Giampiero Marras poi si denuderà nel ‘corso’ di Sassari, lascerà carzones de orroda e berretta ai seguaci, si avvolgerà nella bandiera di Simon Mossa e si darà fuoco. Eppure i ‘moristi’ (e io prima di tutti), dovrebbero ammettere che l’albero antico, nella circostanza, ha forse salvato i Mori che, per l’occasione, la benda non potevano averla se non negli occhi. Infatti, la ‘vera’ storica e antichissima bandiera dei nostri padri, Berlusconi non ce l’ha proprio e non l’anno avuta finora nessuno di quelli a cui generosamente, spesso troppo generosamente, è stata regalata.
E ancora, per ulteriore obiettività e franchezza ‘critica’, dirò che ai miei occhi ha acquisito un punto politico sardista grande come una casa il fatto che Sale abbia orgogliosamente detto di no a Soru. Altrimenti tutta la nostra dignità, ma proprio tutta, con tutto il sardismo preso per i fondelli, andava davvero a farsi friggere nell’olio rancido degli avversari. Per ringraziarlo gli do un suggerimento: porti le truppe a Perdu Pes di Paulilatino e ‘quinci trarrem gli auspici’, di fronte alla capanna delle memorie.
Le sue bandiere, senza che lo sapessimo sino a ieri, hanno origine dall’iconografia sacra in essa contenuta e miracolosamente ritrovata da due ignare insegnanti appassionate di archeologia di Paulilatino. Rendano dunque omaggio alla icona ‘madre’ ritrovata. Sale non pensi ad una presa in giro, data la serietà dell’argomento, e sottovaluti la mia proposta: chè i simboli etnici contano. Enormemente. Persino bere acqua inquinata alle ‘fonti’ del Po serve. Anche i Sardi, così come i Padani, non vivono di solo pane. Ma Efisio Trincas ‘leader’, purtroppo, questo se lo è dimenticato. Completamente.
Gigi Sanna.