Martedì 03 febbraio 2009
«L'identità è il nostro valore»
Sollai, Unidade indipendentista e la Sardegna
di FABIO MANCA
Peccato che non siano riusciti a coalizzarsi con l'Irs di Gavino Sale. Non perché ci siano divergenze politiche, ma perché «dopo il nostro appello all'unità hanno temporeggiato. A un certo punto non decidevano e noi dovevamo chiudere le liste». Sarebbe solo una questione di velocità, insomma. Non di conflitti. Altrimenti gli indipendentisti sarebbero stati tutti sotto lo stesso tetto. E magari avrebbero potuto sperare di superare lo sbarramento del 3%, ostacolo finora insormontabile nonostante una costante presenza a tutti gli appuntamenti politici. Certo, sommando i voti del 2004 non avrebbero raggiunto il 2% (0,58% e 5.031 voti Sardigna natzione, 1,13% e 9.724 consensi Irs) ma magari con A manca pro s'indipendentzia, Juventudi indipendentista 28 de abril e A foras, oggi riuniti assieme a Sardigna Natzione sotto l' Unidade indipendentista , il risultato sarebbe potuto migliorare. Fatto sta che la diaspora ancora una volta non si è ricomposta.
Gianfranco Sollai, candidato presidente della nuova forza politica, non se ne fa un cruccio, anzi. L'ostacolo all'elezione, a suo avviso, non è il frazionamento indipendentista ma i mass media. «Danno tutto lo spazio ai partiti italiani, a noi solo le briciole». Significa che se aveste più spazio, otterreste un seggio in Consiglio? «Non è detto», ammette, «certo diffonderemmo di più le nostre idee».
Avvocato penalista, nato 49 anni fa a Siamanna, una figlia, Sollai è antropologicamente e morfologicamente indipendentista. Stereotipo perfetto. Calvo, sopracciglia generose, occhi castani, sguardo fiero, ha una voce baritonale che gli regala autorevolezza e una forte cadenza barbaricina. Quando, nel 2006, si candidò a sindaco di Cagliari con Sardigna natzione (385 voti, lo 0,41%), annunciò, tra gli altri punti programmatici, la chiusura immediata delle Città mercato. Impossibile, in uno stato di diritto. Una provocazione, evidentemente, che tuttavia conteneva un messaggio. «È Cagliari che deve diventare città mercato ed essere valorizzata in tutti i suoi spazi».
Oggi, che i suoi programmi abbracciano tutta l'Isola, ribadisce e amplia il concetto: «Siamo la Regione d'Europa con la più alta concentrazione di ipermercati e questo ha generato diseconomie nel territorio e abbassato la qualità dei prodotti consumati a vantaggio delle multinazionali e a svantaggio dei prodotti locali. È assurdo che noi consumiamo beni del settore agroalimentare che arrivano da migliaia di chilometri e ciò che produciano vada a finire altrove». E qui innesta un principio tipicamente indipendentista: «Dobbiamo riconvertire le industrie e incentivare, con leggi specifiche, lo sviluppo e la trasformazione delle risorse umane e naturali presenti in Sardegna e attivare politiche che favoriscano il consumo di prodotti locali».
Non è il primo a sostenerlo.
«Tra noi e gli altri c'è una differenza: noi tuteliamo le nostre risorse perché siamo convinti che possano portare ricchezza ai sardi, chi rappresenta i partiti italiani parla per slogan. Difendono altre identità, tutelano interessi nazionali che confliggono con i nostri».
Ma è anche vero che ormai sono tutti convinti che la vera ricchezza stia proprio nelle specificità dei territori e delle produzioni.
«È evidente, ma un conto sono le parole, un altro i fatti. Pensiamo alle aziende agropastorali. Se i partiti italiani avessero avuto a cuore la nostra produzione avrebbero fatto sì che ai produttori il latte ovino e caprino venisse pagato a un prezzo congruo, non alla stregua di un prodotto industriale. E avrebbero impedito che 30 mila aziende entrassero in crisi e molte di esse venissero pignorate».
Che cosa proponete?
«Nell'ambito di un ampio programma di tutela delle produzioni locali, l'istituzione di un marchio di qualità e incentivi al consumo di nicchia e prodotti locali derivanti dall'agricoltura e dall'allevamento che oggi faticano ad inserirsi nella grande distribuzione».
E per quanto riguarda le aziende pignorate?
«È pronta una proposta di legge di iniziativa popolare che modifica il codice di procedura civile e, per salvaguardare le potenzialità produttive, sancisce l'impignorabilità delle aziende agropastorali».
Quando la presenterete?
«Prima delle elezioni».
Non è che lo fate per conquistare il voto di migliaia imprenditori con l'acqua alla gola?
«È una proposta coerente con le nostre idee».
Da decenni sostenete il diritto all'autodeterminazione: non è una proposta anacronistica?
«Sosteniamo da sempre che ad ogni popolo debba essere concesso il diritto di scegliere secondo il principio internazionale dell'autodeterminazione. Un principio che chiediamo venga inserito nello statuto sardo assieme alla possibilità di svolgere, sul tema, un referendum popolare. Se una nazione non è indipendente non può autogovernarsi».
In che cosa si esplica l'autogoverno?
«Ad esempio con competenze primarie sui trasporti: vogliamo porre fine al monopolio della Tirrenia e promuovere nuovi bandi internazionali per la continuità territoriale che stabiliscano tariffe davvero agevolate e orari e scali legati alle esigenze dei sardi. Vogliamo nuove tratte low cost che colleghino la Sardegna anche con i paesi del Mediterraneo e il potenziamento dell'Arst. Ma tutto il nostro programma è ispirato all'autodeterminazione. L'industria, ad esempio».
Che cosa proponete, a parte la riconversione della produzione?
«Una legislazione che limiti la possibilità che imprenditori beneficino di contributi pubblici per creare aziende che chiudono dopo pochi anni e impedisca in caso di chiusura degli impianti di trasferire tutto fuori dalla Sardegna. È la Regione che deve rilevare infrastrutture e macchinari finanziati con soldi pubblici».
Sulle servitù militari sono stati fatti passi avanti. Ma nei giorni scorsi il ministro La Russa ha annunciato la costruzione della nuova pista a Quirra.
«Voglio dire subito una cosa: la liberazione di La Maddalena dalle basi americane non è stata una vittoria dei partiti italiani ma una coincidenza. È stata la Nato a decidere che quella base non era più utile».
Intanto è stata smilitarizzata ed è in corso una riconversione.
«Non scherziamo. Il G8 è stato presentato come un'occasione di sviluppo per l'Isola, in realtà si tratta dell'ennesimo affare per quelle aziende che stanno conducendo i lavori in condizioni di aperta illegalità, violando le leggi di tutela dei lavoratori. Basti dire che un sindacalista che ha provato a documentare l'illegalità è stato denunciato per spionaggio».
Ma senza una legge speciale forse non si sarebbe riconvertita l'isola.
«Non è così, se si decide di farlo si fa. Eppoi noi poniamo anche una questione politica: la Sardegna non è in guerra con nessuno e il G8 è una provocazione di stampo coloniale, prosecuzione di quel processo di deculturazione forzata che noi chiamiamo genocidio culturale».
Torniamo alle basi.
«Proponiamo un piano di smilitarizzazione totale, di bonifica del territorio e riconversione dell'economia militare. Vorrei ricordare che in Sardegna i militari occupano 24 mila ettari contro i 16 mila di tutta la penisola italiana. E che nel piccolo villaggio di Quirra su 150 persone, 20 sono morte per la stessa malattia e ad Escalaplano nel '98 14 bambini sono nati con gravissime malformazioni».
Nel vostro programma contestate anche la politica delle entrate della giunta uscente.
«Sia centrodestra che centrosinistra hanno fatto passare come una grande vittoria la ricontrattazione della vertenza entrate con lo Stato italiano. Noi riteniamo vergognoso che lo Stato abbia rubato per anni miliardi di euro di proprietà dei sardi e poi abbia gentilmente concesso di restituirli in piccole rate nei prossimi decenni. Noi li vogliamo tutti, subito e con gli interessi».
Che legge elettorale vorreste?
«Una legge rigorosamente proporzionale, per scardinare la blindatura delle coalizioni italiane».
Senza sbarramento?
«Lo sbarramento è necessario. Il problema della rappresentanza, lo ripeto, è un altro: lo spazio dedicato dai media alle piccole forze».
Chiedete che gli stipendi dei consiglieri regionali vengano parificati a quelli dei metalmeccanici: un po' eccessivo?
«Con grassi stipendi e onorificenze lo Stato italiano colonialista ricatta il popolo sardo. Noi pensiamo che la politica sia servizio al popolo».
Che cosa pensa della scelta di una parte del Psd'az di candidarsi col centrodestra.
«Una scelta incoerente, dettata da semplice opportunismo».
Voi avete rifiutato di entrare nel centrosinistra.
«Ho spiegato che non abbiamo gli stessi interessi dei partiti italiani. Vede, non è sufficiente mettersi l'abito in velluto o far suonare Procurade e moderare ai comizi o esporre la bandiera dei Quattro mori per dirsi indipendentisti o sardisti».
Mentre parla, Sollai mostra un I Phone della Apple, tra i simboli universali della globalizzazione. Sembra una contraddizione, lui non concorda.
«Penso che la globalizzazione contrasti con i principi di solidarietà, libertà e unità solo quando non riconosce e non rispetta altri popoli e altre identità. Non cambia niente se nel pianeta ci sono mille o duemila Stati, se c'è rispetto reciproco e unità per la soluzione dei problemi del pianeta».
Ultima modifica di Plùminus il Gio Feb 05, 2009 1:55 am - modificato 1 volta.